La cancellazione della fiera è il segnale più eloquente: non c’è trippa per gatti. L’oro, il settore trainante dell’economia aretina è alla canna del gas. Il mercato è completamente fermo e quel poco di ossigeno rimasto alle 1200 aziende aretine è ormai in via di esaurimento. E con le aziende sono in apnea gli ottomila dipendenti diretti ai quali se ne aggiungono altri quattromila considerando l’indotto.
L’umore degli imprenditori è nero e ne hanno ben donde. A fronte dell’assenza percepita di una politica strutturale di sostegno, l’obiettivo di aspettare che si riapra l’orizzonte appare per molti una chimera. Gabriele Veneri, leader degli orafi di Cna, calcola ad esempio che il 70% degli addetti sia ancora in cassa integrazione e più o meno lo stesso dice Luca Parrini, omologo di Confartigianato.
Oltre cinquemila persone che non sanno quando potranno rientrare al lavoro. Ma potebbe essere una stima ottimistica, altri parlano del 90%. Secondo i presidenti artigiani i conti non vanno fatti sulle aziende riaperte («Quasi tutte a spizzichi e bocconi» sostiene Veneri) ma su quante persone sono state richiamate al banco della produzione: «Ho appena parlato con un imprenditore – racconta ancora Veneri – che apre la ditta per due ore al giorno e per due operai».
La frammentazione degli orari è ovviamente dovuta alla mancanza di ordini ma un’ulteriore drastica diminuzione sembra alle porte. Le riaperture sono infatti avvenute all’indomani del 4 maggio vuoi per ricominciare l’attività, vuoi per smaltire quelle commesse inevase a causa del blocco di inizio marzo. In sostanza andavano completati gli ordinativi ma si trattava non di quantità ingenti e la produzione va dunque esaurendosi.
Due gli aspetti da sottolineare: il primo è che l’iniezione di liquidità è inesistente perché gli aerei non volano e perché magari i commissionari esteri sono al momento chiusi; il secondo aspetto è che una volta concluso questo residuo di partita, molti di quelli tornati al lavoro rifluiranno di nuovo nella cassa integrazione. «Se mille o duemila oggi sono in fabbrica – dice ancora Veneri – tra dieci giorni il 50% ne uscirà di nuovo».
Il peggio è che è impossibile individuare una data ipotetica per una parvenza di ripresa. Settembre? Chi lo sa. E’ tutto il mondo che deve sbloccarsi. Ma è comunque un’ancora a cui tentare di aggrapparsi.
«Guardiamo con apprensione – confessa Luca Parrini – alla fiera di Vicenza di fine estate, con l’ansia che anch’essa possa venire cancellata. Se invece si dovesse tenere, sarebbe per noi motivo di speranza nel vedere finalmente un mercato che in qualche maniera ricomincia a muoversi». Il problema è arrivarci a settembre. Da qui l’appello dei leader artigiani al governo e alle istituzioni per una diversa politica fiscale, per un aiuto diretto alle aziende, per i pagamenti veloci della cassa integrazione.
In fondo è un appello non solo per l’oro ma per l’economia tutta: senza stipendio non si fanno acquisti, non si va al ristorante, non si frequenta il bar, si voltano le spalle ai negozi. E questo incide tanto più in una provincia in cui l’oro, fra diretti e indiretti, dà lavoro a dodicimila persone. Dodicimila famiglie. A spanne 35 mila soggetti che sul metallo fondano le basi della propria vita. Il 10% della popolazione di questa terra.
Pubblicato il 28/5/2020 dal quotidiano La Nazione di Arezzo