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Marco Domenichelli, Vice presidente Giovani Imprenditori di Confartigianato Arezzo: “Investire sui giovani e sulle imprese per uscire dalla crisi. La politica torni vicina agli imprenditori”

1 Gennaio 2013
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“In Italia manca un progetto per i giovani. Basta con le vecchie 'ricette' preconfezionate. Il futuro del Paese lo devono scrivere le nuove generazioni. Alla politica tocca il compito di tornare a starci accanto. Davvero e con i fatti”.E’ quanto dichiara Marco Domenichelli, Vice Presidente dei Giovani Imprenditori di Confartigianato Arezzo, dopo aver partecipato alla convention nazionale di FirenzeUn messaggio che i Giovani Imprenditori di Confartigianato mandano “a chi oggi guida il Paese e a chi lo governerà domani” perché si torni ad investire sulle nuove generazioni che stanno soffrendo più di tutti gli effetti della crisi.“I giovani imprenditori – ha detto Domenichelli – sono stanchi di vedere vanificato il loro impegno quotidiano” e ha puntato il dito contro i tanti ostacoli che bloccano il futuro dei giovani e che rendono il fare impresa “un terreno minato”.Il Presidente Nazionale dei Giovani Marco Colombo ha definito lo Stato “una sorta di 'socio occulto' che sottrae tempo e risorse preziose agli imprenditori” con la pressione fiscale che arriva a sfiorare il 70%, con la burocrazia che costa 23 miliardi l’anno e costringe a sacrificare 60 giorni l’anno a sbrigare pratiche amministrative, con i ritardi di pagamento della Pubblica Amministrazione che costano agli artigiani 3,6 miliardi di maggiori oneri finanziari, con i 1.210 giorni di attesa per chiudere un contenzioso giudiziario, con gli scarsi investimenti nella scuola, nella formazione e nella ricerca.Credito, costo del lavoro e dell’energia sono gli altri aspetti sui quali anche il Vice Presidente dei Giovani imprenditori di Arezzo denuncia le difficoltà degli imprenditori. Colombo accusa le banche di non concedere abbastanza fiducia ai giovani e a chi vuole fare impresa, se la prende con un costo del lavoro che sulle Pmi pesa per 173,2 miliardi l’anno, con un prezzo dell’energia superiore del 30% rispetto a quello pagato dalle imprese degli altri Paesi europei.“Tanti, troppi ostacoli – sottolinea Domenichelli – che rendono molto difficile, talvolta impossibile fare impresa in Italia. Ostacoli che vanno rimossi per restituire fiducia ai cittadini e agli imprenditori e per ricominciare a credere in un futuro di sviluppo”.“E’ troppo facile – sostiene Domenichelli – rastrellare risorse dai cittadini e dagli imprenditori senza poi redistribuirle con un progetto ed azioni efficaci ed utili a tutto il Paese”. Marco Colombo chiede quindi di “sostenere l’imprenditoria giovanile per uscire dal tunnel della crisi e consentire a molti ragazzi di realizzare un sogno, un progetto, un’aspirazione o, più semplicemente, di continuare la tradizione dell’impresa di famiglia”. “A chi ha la responsabilità della cosa pubblica, alle forze politiche, a chi amministra le nostre risorse, a livello nazionale e locale – ha concluso il presidente nazionale dei Giovani Imprenditori- chiediamo di restituirci la voglia di rischiare, l'entusiasmo di vivere e lavorare nel nostro Paese”. I risultati dell’Osservatorio Confartigianato sull’imprenditoria giovanileLAVORO – I giovani principali vittime della recessione:tra il 2008 e il 2011 persi 1,2 milioni occupati under 40.La crisi falcidia anche i giovani imprenditori: – 17,1% dal 2007Gli under 40 hanno pagato il prezzo più alto della crisi.Tra il 2008 e il 2011 i lavoratori con meno di 40 anni sono diminuiti dell’11,4%, facendo mancare all’appello 1.233.500 occupati. Contemporaneamente i lavoratori con più di 40 anni sono aumentati del 5,2%, pari a 663.700 unità.Tra settembre 2010 e settembre 2011, l'Italia è seconda soltanto alla Spagna per il maggior calo dell'occupazione under 40 che scende dell'1,6% (pari a 158.500 occupati in meno), mentre gli over 40 aumentano del 2,4% (pari a 317.700 occupati in più).I dati emergono dall’Osservatorio sull’imprenditoria giovanile realizzato dall’Ufficio studi di Confartigianato e presentato all’Assemblea nazionale dei Giovani Imprenditori di Confartigianato.La grande recessione ha colpito anche l’imprenditoria giovanile. Tra il 2007 e il 2011 si registra una diminuzione del 17,1% di imprenditori italiani under 40, pari a 387.400 unità in meno. Nel nostro Paese la diminuzione è più accentuata rispetto al calo medio del 14,7% di giovani imprenditori verificatosi nell'Unione europea.Nonostante questa flessione, l’Italia rimane sul gradino più alto del podio europeo per numero di imprenditori e di lavoratori autonomi tra i 15 e i 39 anni: sono 1.872.500 e staccano nettamente il Regno Unito che ne conta 1.303.700, la Polonia che ne conta 1.127.300 e la Germania che arriva a contarne 1.055.900.Nel nostro Paese, quindi, il 19,6% dei giovani occupati under 40 lavora in proprio, una percentuale quasi doppia rispetto al 10,3% della media europea.Nel dettaglio la propensione a 'fare impresa' dei giovani italiani è superiore al 10,2% della Spagna, al 9,8% del Regno Unito, al 7,3% della Francia, e al 6,5% della Germania.Circa il 30% dei giovani imprenditori italiani sono artigiani. I capitani under 40 delle piccole imprese sono infatti 614.115. E anche per loro la crisi si è fatta sentire con una diminuzione di 33.284 imprenditori tra il 2010 e il 2011, pari ad un calo del 5,1%.In testa alle regioni con la maggiore presenza di giovani artigiani vi è la Lombardia (114.424), seguita da Veneto (60.985), Emilia Romagna (90.932), Piemonte (59.453), Toscana (50.377).A livello settoriale, il 43,2% dei giovani imprenditori artigiani opera nelle costruzioni e il 21,7% nelle attività manifatturiere; questi due comparti, insieme, assorbono quasi i due terzi dell’imprenditoria artigiana giovanile (64,9%). Il resto è in prevalenza a capo di imprese attive nelle Altre attività di servizi (12,9%), nel Commercio all'ingrosso e al dettaglio e nella riparazione di autoveicoli e motocicli (5,1%), nelle Attività dei servizi di alloggio e di ristorazione (4,9%) e nel Trasporto e magazzinaggio (4,7%).FISCO – Rapporto di ConfartigianatoImprese italiane le più tassate in Europa: total tax rate al 68,5%Ma il fisco arriva a divorare anche fino all’86,4% dei profittiL’Italia è il primo Paese in Europa e il 13° al mondo per la più alta pressione fiscale sulle imprese. Imposte e tasse pagate dalle aziende sui profitti lordi, vale a dire il cosiddetto total tax rate, raggiungono la percentuale del 68,5%. Un vero e proprio record che non ha eguali in Europa rilevato dall’Ufficio studi di Confartigianato e presentato all’Assemblea dei Giovani Imprenditori di Confartigianato.Nella classifica dei Paesi europei con il maggiore prelievo fiscale sull’attività d’impresa dietro l’Italia c’è la Francia con il 65,7%, poi la Germania con il 46,7%, la Spagna con il 38,7% ed il Regno Unito con il 37,3%.Il confronto con la tassazione sulle imprese negli altri Paesi europei diventa tanto più impietoso se applicato agli Stati che confinano con il nostro. Confartigianato ha verificato che se si varcano le nostre frontiere le cose per gli imprenditori cambiano e molto. In Svizzera, ad esempio, la tassazione sull’impresa corrisponde alla metà di quella italiana: 30,1%. Un salto in Slovenia e le tasse per gli imprenditori arrivano al 34,7%. Salgono in Austria, con il 53,1%, ma restano pur sempre di 15 punti inferiori rispetto al nostro Paese.Per i nostri imprenditori le cose peggiorano se si considerano i tributi aggiuntivi come l'Iva sui consumi, le accise sui carburanti e sull’energia elettrica, l’IMU, l'Irpef e i contributi sociali del dipendente pagata dal datore di lavoro, l’Irap. Confartigianato ha calcolato che tutte queste voci fanno lievitare all’86,4% il prelievo di risorse per gli imprenditori.E mentre le imprese italiane sopportano questo salasso, una larga parte dell’economia sfugge a qualsiasi tassazione e prospera indisturbata. Secondo il rapporto di Confartigianato le attività sommerse infatti generano un valore aggiunto che oscilla tra un minimo di 255 miliardi di euro e un massimo di 275 miliardi di euro, pari rispettivamente al 16,3% e al 17,5% del PIL.LAVORO – Allarme di Confartigianato: costo del lavoro sempre più altoSulle imprese un onere di 376 miliardi/anno Per le Pmi il conto più salato: 173,2 miliardi. E le tasse sul lavoro pesano per il 46,9%.Tra gli ostacoli alla competitività della nostra economia vi è l’alto costo del lavoro che su 4.383.544 imprese pesa per 376 miliardi l’anno, una cifra pari al 14,2% del fatturato e al 59,7% del valore aggiunto prodotto dalle aziende.Ma sono le imprese più piccole a pagare il conto più salato: per quelle con meno di 50 addetti il costo del lavoro ammonta a 173,2 miliardi di euro ed è pari al 51,6% del valore aggiunto.Tra il 2003 e il 2009 l'incidenza del costo del lavoro sul valore aggiunto creato dalle imprese fino a 50 addetti è aumentato del 10,7%, passando dal 40,8% al 51,6%. Nello stesso arco di tempo, per le imprese medio-grandi l'incremento è stato inferiore (+6,6%).E’ quanto emerge da un rapporto di Confartigianato presentato all’Assemblea dei Giovani Imprenditori. A gonfiare il costo del lavoro è la pressione fiscale: secondo le rilevazioni di Confartigianato, la tassazione sul lavoro di un dipendente single senza figli con retribuzione media è del 46,9%, vale a dire il 12 per cento in più rispetto alla media dei Paesi Ocse che si attesta al 34,9%. Una percentuale che pone l’Italia al quinto posto tra i 34 Paesi avanzati dell’Ocse con il cuneo fiscale più oneroso.La differenza rispetto alla media dei Paesi Ocse non cambia di molto, attestandosi al 12,3%, se si prende in considerazione la tassazione sul salario di una coppia con due redditi e due figli: la percentuale del cuneo fiscale è del 42,1%, cioè il 12,3% in più rispetto alla media Ocse del 29,8%. In questo caso il cuneo fiscale italiano diventa il terzo più alto tra i paesi Ocse e si allarga ulteriormente il divario dell'Italia rispetto al valore medio.A fronte dell’alta tassazione del lavoro, la quota di PIL destinata alla protezione dei lavoratori dalla disoccupazione è la più bassa di Europa. Infatti, Confartigianato evidenzia che la quota di spesa pubblica impiegata per contrastare il fenomeno della disoccupazione è solo lo 0,8% del PIL, meno della metà dell’1,8% del PIL destinato, in media, dai Paesi dell'Unione Europea.Confartigianato ha messo a confronto il costo del lavoro delle nostre imprese e di quelle dei Paesi emergenti. Il costo del lavoro di un’impresa manifatturiera in Italia, pari a 33.019 euro per dipendente, è più che doppio rispetto ai 17.056 euro di un’impresa del Brasile e ai 16.806 euro della Turchia, è il triplo rispetto agli 11.883 euro di un’impresa polacca, quasi sei volte in confronto ai 6.075 euro di un’impresa rumena e poco meno di 9 volte in confronto ai 4.130 euro di un’impresa della Cina.



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