“Lo schema di decreto legislativo firmato recentemente dal Consiglio dei Ministri, sulla reintroduzione dell’obbligo di indicazione in etichetta – dello stabilimento di produzione – premia l’impegno portato avanti da Confartigianato Alimentazione, a tutela dei consumatori e delle imprese. Affinché siano di facile lettura le informazioni relative alla provenienza e alla qualità dei prodotti alimentari e allo stesso modo la tracciabilità della filiera, in caso di allerta sanitaria”.
“Se questo – afferma Fabrizio Piervenanzi – è motivo di grande soddisfazione, per il ruolo che Confartigianato Alimentazione ha avuto nel portare avanti una battaglia, come detto, in difesa di consumatori e imprese che insieme guardano alla qualità e alla provenienza di ciò che mangiamo, non possiamo che essere preoccupati dalla questione del semaforo alimentare”.
“Si vorrebbe, in ambito UE – continua Piervenanzi – adottare un sistema, già in uso in Gran Bretagna, che attraverso l’uso dei tre colori, appunto del semaforo, rosso, giallo e verde, segnalasse al consumatore, in modo generico e fuorviante, presenza, natura e tipologia, ad esempio di grassi e zuccheri, non tenendo conto dei giusti obiettivi di un etichetta alimentare, né degli ingredienti e delle lavorazioni previste dai disciplinari dei nostri marchi di qualità, come la Dop. Si farebbe una grande confusione, con il risultato che – semplificando – prodotti come latte, formaggi, olio extravergine di oliva, avrebbero un bollino rosso. Mentre una bibita gassata, avrebbe quello verde”.
“Anche su questo tema – conclude Piervenanzi – Confartigianato Alimentazione è già fermamente schierata, a difesa delle nostre produzioni e della giusta informazione, all’interno di un fronte che vede uniti consumatori, imprese, nutrizionisti e il nostro Ministero delle Politiche Agricole. E’ recente e da noi condivisa l’affermazione del ministro Martina che ha annunciato una lettera alla Commissione UE con la quale Ribadiremo con forza il nostro no a questo sistema, chiedendole di impedire la diffusione di un elemento così distorsivo del mercato, perché provoca danni economici e d’immagine ai nostri prodotti, non porta alcun beneficio per i consumatori e non promuove uno stile alimentare equilibrato o una dieta sana, classificando i cibi con parametri discutibili e approssimativi.