“L’impresa artigiana, in particolare quella di piccole e piccolissime dimensioni, è penalizzata quasi in ogni aspetto che riguarda la sua attività: dalla burocrazia lenta e macchinosa all’enorme peso delle tasse, dal credito alla giustizia, dall’inefficienza della pubblica amministrazione all’evoluzione digitale, fino alla concorrenza sleale”.
Sono parole di Ferrer Vannetti, presidente di Confartigianato Arezzo, che commenta i dati dell’Ufficio studi di Confartigianato sui tanti, troppi gli ostacoli per chi vuol fare impresa in Italia. Dieci, per l’esattezza e li ha messi in luce. Dieci zavorre che “appesantiscono – insiste Vannetti – i bilanci, l’operatività e gli investimenti della piccola impresa italiana: a giudicare da questo panorama, è quasi un miracolo che le nostre imprese riescano ad andare avanti nonostante le pesanti zavorre che mettono continuamente il freno al loro sviluppo e competitività”.
Il primo dato è forse il più significativo: nel 2017 il carico fiscale arriva al 43% del Pil. Parlando di efficienza di spesa dei Comuni tra Imu, Tasi e addizionale Irpef un piccolo imprenditore sborsa più di 4.300 euro l’anno.
Uno dei tasti più dolenti per l’artigianato è il credito, letteralmente crollato negli ultimi cinque anni, soprattutto verso le piccole imprese: accesso calato del 2,7 di meno solo nell’ultimo anno.
Anche l’energia elettrica è tra le più alte di tutto il continente: una micro e piccola impresa italiana arriva a spendere quasi 2.300 euro in più rispetto a una qualsiasi controparte europea.
A ciò si aggiunge il debito commerciale che gli enti pubblici hanno accumulato verso le imprese fornitrici di beni e servizi con la Pubblica Amministrazione, che fa attendere in media 95 giorni, rispetto ai 46 giorni della media Ue, per saldare le fatture agli imprenditori.
Il grado di digitalizzazione dell’Italia è tale da collocarla al 25esimo posto nella classifica Ue: rimanendo in tema “pubblico”, i Comuni italiani gestiscono online soltanto il 3,1% dei servizi richiesti dai cittadini e dagli imprenditori. E di questi, solo l’11,7% ha inviato online alla PA i moduli del 2016, contro il 28% dell’Ue.
Non c’è da stupirsi quindi se solo il 23% degli italiani si dichiara soddisfatto della qualità dei servizi pubblici, contro la media europea del 52%: altro dato che colloca l’Italia in fondo alla classifica.
All’elenco si aggiungono gli squilibri di spesa e welfare: se si pensa che per ogni euro investito per giovani e famiglie, l’Italia ne spende 10 per pensioni e sanità degli over 65, c’è ancora molto da recuperare per il futuro delle nuove generazioni.
I dati sulla contraffazione e il sommerso dicono che nel 2015 il tasso di irregolarità era del 15,7%, mentre la quota di artigianato manifatturiero esposta alla contraffazione nel 2016 è del 16,9%. E i tempi della giustizia sono ancora troppo lunghi e costosi per cittadini e imprenditori: in Italia un procedimento civile dura circa 560 giorni in più rispetto alla media Ue.
Sul fronte dei rifiuti le cose non vanno molto meglio: negli ultimi cinque anni le tariffe per la raccolta sono aumentate del 18,9%, un dato senza uguali in Europa, a fronte, per giunta, di servizi non sempre efficienti
“Eppure – conclude Vannetti – se da un lato il nostro sistema dei record negativi rallenta la crescita, dall’altro c’è il mondo dell’artigianato e delle piccole imprese che corre per agganciare la ripresa. Ma solo viaggiando nella stessa direzione si possono stabilire tutte le condizioni favorevoli per fare impresa e per assottigliare quel gap che continua a distanziarci dalle medie europee”.